Cos’è la disforia di genere secondo il DSM‑5?

La disforia di genere (gender dysphoria) è, secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition (DSM‑5, pubblicato nel 2013), una condizione in cui vi è una “marcata incongruenza” tra il genere che una persona percepisce/esperisce (o esprime) e il sesso attribuito alla nascita (o i caratteri sessuali primari/secondari).

Questa incongruenza deve persistere per almeno sei mesi e deve manifestarsi con almeno due fra una serie di criteri specifici (negli adolescenti/adulti) e deve comportare “disagio clinicamente significativo” (distress) o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree vitali.

I criteri per l’adulto/adolescente includono:

🌈Incongruenza tra il genere esperito e le caratteristiche sessuali (primarie o secondarie).

🌈Desiderio intenso di liberarsi delle caratteristiche sessuali (primarie/secondarie) perché incongrue rispetto al genere esperito.

🌈Desiderio intenso di possedere le caratteristiche sessuali dell’altro genere.

🌈Desiderio intenso di essere dell’altro genere (o di un genere alternativo).

🌈Desiderio intenso di essere trattato come l’altro genere (o genere alternativo).

🌈Convinzione forte di avere i sentimenti tipici dell’altro genere. La condizione deve generare disagio significativo o compromissione.

Per i bambini (criteri specifici), è richiesta una durata analoga (almeno sei mesi) e la presenza di almeno sei fra un elenco di manifestazioni, una delle quali deve essere l’“insistenza” sull’essere un genere diverso da quello attribuito.

Nel DSM-5, la parola “disturbo” è stata volutamente rimossa in riferimento all’identità di genere. L’attenzione si è spostata sul concetto di disagio psicologico (disforia), con l’obiettivo di ridurre lo stigma associato e riconoscere che non è l’identità di genere a essere patologica, ma piuttosto le conseguenze emotive e relazionali che possono derivare da una discrepanza vissuta in modo sofferto tra genere percepito e genere assegnato alla nascita.

Va chiarito comunque che la disforia di genere non è concepita dal DSM‑5 come un “disturbo mentale” in senso intrinseco dell’identità: il criterio fondamentale è che vi sia disagio o disfunzione. In assenza di distress o compromissione funzionale, la persona può essere transgender o avere incongruenza di genere senza che vi sia una “malattia” diagnostica.

 

Prevalenza stimata

Secondo dati citati da fonti cliniche basate sui criteri del DSM‑5, la prevalenza stimata di disforia di genere sarebbe compresa tra 0,005 % e 0,014 % per individui assegnati maschi alla nascita e tra 0,002 % e 0,003 % per individui assegnati femmine alla nascita.

È importante notare che queste stime probabilmente sottostimano la realtà: si riferiscono a casi che hanno richiesto diagnosi clinica o trattamento, e molte persone transgender non si rivolgono a servizi psichiatrici o di endocrinologia, o non soddisfano (o non rientrano nei termini tradizionali) i criteri diagnostici “classici”.

 

Concetti fondamentali: sesso, genere, identità, orientamento

Per comprendere pienamente la disforia di genere è cruciale distinguere alcuni concetti spesso confusi in uso quotidiano:

Sesso (sesso assegnato alla nascita / sesso biologico)

Il sesso è l’etichetta che viene assegnata alla nascita, di solito in base all’aspetto dei genitali esterni del neonato (maschio o femmina). Il sesso può includere anche altri aspetti del corpo, come:

-i cromosomi (ad esempio XX o XY),

-gli ormoni,

-le gonadi (ovaie o testicoli),

e altre caratteristiche fisiche.

In alcune persone, queste caratteristiche non seguono le tipiche definizioni di “maschio” o “femmina”: si parla allora di variazioni intersessuali (note anche come DSD – differenze/disordini dello sviluppo sessuale). In questi casi, definire il sesso può essere più complesso.

 

Genere (gender)

Il genere è un costrutto socio‑culturale che definisce ruoli, aspettative, norme e comportamenti attribuiti socialmente alle persone “maschili”, “femminili” o altre categorie in funzione delle convenzioni culturali.

Identità di genere (gender identity)

L’identità di genere è il senso profondamente interiorizzato dell’essere uomo, donna, entrambi, nessuno o altro genere, che può coincidere o meno con il sesso assegnato alla nascita. È l’esperienza soggettiva di “chi sono io” sul piano del genere.

Espressione di genere (gender expression)

Come una persona manifesta all’esterno il proprio genere — abbigliamento, atteggiamenti, modo di parlare, comportamento — che può essere allineato o diverso dalle aspettative convenzionali per quel genere.

Orientamento sessuale / affettivo / romantico

Indica a chi una persona si sente attratta (emotivamente, romanticamente o sessualmente). Questo aspetto è distinto dal genere e dall’identità.

Quindi, mentre l’identità di genere riguarda “chi sono io”, l’orientamento riguarda “a chi sono attratto/a”. Anche una persona transgender può avere qualunque orientamento sessuale (eterosessuale, gay, lesbica, bisessuale, pansessuale, asex, demisessuale ecc.).

 

L’orientamento indica verso chi una persona prova attrazione:

🪷sessuale (chi ti piace fisicamente o con chi vuoi avere relazioni intime),

🪷affettiva o romantica (chi ti fa battere il cuore, con chi vorresti una relazione romantica o sentimentale).

In parole semplici:

L’identità di genere è “chi sono io” (es. mi sento ragazzo, ragazza, non binario…)

L’orientamento è “chi mi piace” o “da chi mi sento attratto/a”

 

Alcuni orientamenti:

Eterosessualità: attrazione (sessuale e/o romantica) verso persone del genere “opposto” rispetto alla propria identità di genere.

Omosessualità / gay / lesbica: attrazione verso persone dello stesso genere.

Bisessualità: attrazione verso due generi (o più generi).

Pansessualità: attrazione verso persone indipendentemente dal genere. Può essere intesa come attrazione fondamentalmente inclusiva che trascende il genere biologico, ossia “mi importa chi è la persona, non il genere che ha o esprime”.

Asessualità: assenza (o scarsa presenza) di attrazione sessuale.

Demisessualità: attrazione sessuale che può emergere solo in presenza di un forte legame emotivo (non basta l’attrazione estetica o superficiale, è necessaria un’intimità emozionale prima).

Queer / fluid: alcune persone preferiscono non etichettare rigidamente il loro sentire e si identificano con termini più fluidi.

Questi orientamenti possono coesistere con qualsiasi identità di genere (cis, trans, non binario, agender, ecc.).

Esempi per capirlo meglio

*Martina è una ragazza cisgender (cioè è nata femmina e si identifica come ragazza) e le piacciono i ragazzi → eterosessuale.

*Luca è un ragazzo e prova attrazione per altri ragazzi → omosessuale (gay).

*Sofia è una ragazza e si innamora sia di ragazzi che di ragazze → bisessuale.

*Alex è una persona non binaria e prova attrazione per persone di qualsiasi genere → pansessuale.

*Gio è un ragazzo transgender (cioè è nato femmina, ma si riconosce come ragazzo) e si innamora delle ragazze → anche lui può essere considerato eterosessuale, perché è attratto da un genere diverso dal proprio.

*Michele si sente attratto solo quando ha un forte legame emotivo con una persona → demisessuale.

 

Transgender vs transessuale: definizioni e differenze

L’uso dei termini “transgender” e “transessuale” merita chiarezza:

Transgender è un termine generico ed ombrello che indica persone la cui identità di genere differisce da quella assegnata alla nascita. Include persone che possono o non possono desiderare o intraprendere transizioni mediche, chirurgiche o legali. Non implica necessariamente un percorso medico.

Transessuale

Storicamente, il termine “transessuale” si è usato per indicare persone che desiderano (o hanno completato) modificazioni fisiche (ormonali o chirurgiche) per allineare corpo e identità di genere. Può implicare un percorso di “riattribuzione sessuale”.

Molte persone preferiscono il termine “transgender” anche in questi casi, in parte per evitare l’enfasi sul corpo e sulla transizione come elemento definitorio.

In altre parole, “transessuale” è un sottoinsieme (ma non sempre usato universalmente) del concetto più ampio “transgender”. Non tutte le persone transgender si identificano come transessuali, e non tutte desiderano interventi medici.

È importante utilizzare la terminologia preferita dalla persona interessata.

 

Percorso di transizione: ormonale, chirurgico, sociale e legale

Il “cambio di genere” o transizione può comprendere più ambiti: sociale, ormonale, chirurgico, legale. Non esiste un percorso unico e obbligatorio; il modello raccomandato (es. secondo WPATH, Standards of Care) è quello individualizzato e basato su valutazione clinica multidisciplinare.

1. Transizione sociale / espressione di genere

Spesso il primo passo è l’adattamento dell’espressione di genere: uso di un nuovo nome, pronomi, un abbigliamento coerente con l’identità, cambiamenti nello stile di vita, presentazione sociale come il genere desiderato. Questo può essere fatto senza interventi medici e costituisce un’importante fase di “affirmation”.

2. Terapia ormonale (hormone therapy / hormone replacement therapy, HRT)

La terapia ormonale è finalizzata a stimolare lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie (ossia caratteristiche di genere secondarie, come barba, voce, tessuto mammario, distribuzione del grasso corporeo) coerenti con l’identità di genere.

Per persone designate maschio alla nascita che vogliono fare la transizione verso il genere femminile (MtF, “male-to-female”): tipicamente si utilizzano estrogeni (es. estradiolo) e antiandrogeni (es. medrossiprogesterone, spironolattone, bloccanti del testosterone).

Per persone designate femmina alla nascita che vogliono fare la transizione verso il genere maschile (FtM, “female-to-male”): si utilizza testosterone in dosaggi adeguati.

La terapia ormonale richiede monitoraggio medico: valutazione cardio metabolica, funzionalità epatica, parametri lipidici, rischio trombosi, salute ossea, ecc.

La terapia ormonale può alleviare in molti casi la disforia legata ai caratteri sessuali discordanti, anche se non è sufficiente o desiderata da tutte le persone.

3. Interventi chirurgici (chirurgia di conferma di genere / riassegnazione sessuale)

Gli interventi chirurgici non sono obbligatori né universali, ma possono essere richiesti da alcune persone per ottenere maggiore “congruenza” corporea. Le procedure variano a seconda del genere di destinazione e delle esigenze individuali:

In un percorso MtF (da maschio a femmina): penectomia, orchiectomia, vaginoplastica (creazione di canale vaginale), labioplastica, eventuali rinforzi o costrizioni dei tessuti per la vaginoplastica, sterilizzazione (in alcuni casi richiesta per legge).

In un percorso FtM (da femmina a maschio): mastectomia (rimozione del tessuto mammario), isterectomia (rimozione dell’utero), ovariectomia (rimozione delle ovaie), falloplastica o metoidioplastica / clitoroplastica / uretroplastica / costruzione di pene, vaginectomia residua, eventuali protesi.

Anche dopo l’intervento, è necessario un follow-up continuo per monitorare la funzionalità, la guarigione, eventuali complicanze e la soddisfazione della persona.

4. Cambiamento legale / rettificazione anagrafica

In molti ordinamenti, per far sì che i documenti ufficiali (atto di nascita, identità anagrafica, certificati, documenti di stato civile) riflettano il genere con cui la persona si identifica, occorre un iter legale.

In Italia, la legge di riferimento è la Legge 14 aprile 1982, n. 164, “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”.

Secondo l’art. 1: la rettificazione degli attribuzioni di sesso avviene mediante sentenza del tribunale, a seguito di modificazioni dei caratteri sessuali.

È richiesto il passaggio per via giudiziaria, con istanza, notifica al Pubblico Ministero e, se presenti, al coniuge e ai figli, e possibilità di consulente tecnico d’ufficio.

La legge è stata modificata con il D.Lgs. n. 150/2011 (art. 31) per la semplificazione del rito civile.

Tradizionalmente la legge richiedeva che il trattamento medico‑chirurgico (adeguamento dei caratteri sessuali) fosse già avvenuto prima della rettifica anagrafica.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15138 del 2015 ha affermato che l’intervento chirurgico non è più un requisito obbligatorio per la rettificazione dei documenti, purché vi sia una valutazione del magistrato che riconosca la necessità del percorso per tutelare la salute psichica della persona.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 161/1985, ha confermato la costituzionalità della legge 164/1982, ma con rilievi su alcuni limiti.

Un punto critico è che la legge è spesso considerata datata, perché ancora richiede rigide procedure mediche e interventi per accedere alla rettificazione (che esclude chi non vuole, non può o non desidera interventi).

In sintesi, il percorso legale italiano oggi può consentire la rettifica del genere anagrafico anche senza obbligo chirurgico, ma resta un iter giudiziario che richiede valutazioni tecniche e spesso perizie.

 

Fattori psicologici, difficoltà e importanza del supporto

La disforia di genere si manifesta non solo come incongruenza cognitiva tra identità e corpo, ma coinvolge dimensioni psicologiche complesse. Ecco alcuni aspetti rilevanti:

Distress e sofferenza emotiva: molte persone con disforia vivono ansia, depressione, isolamento sociale, senso di alienazione dal proprio corpo. Il disagio nasce spesso dal conflitto tra desiderio interiore di identificarsi con un genere e la realtà del corpo e delle aspettative sociali.

Rischio suicidario: studi clinici indicano che le persone transgender che vivono disforia sono a rischio elevato di pensieri suicidari e comportamenti autolesionistici, specialmente se non ricevono supporto adeguato (psicologico, sociale, medico).

Comorbidità psichiatriche: possono esserci disturbi depressivi, ansiosi, disturbi da stress, disturbi dell’alimentazione o altre comorbidità.  È importante non considerare queste condizioni come intrinseche alla transessualità, ma come possibili conseguenze del disagio, dello stigma e delle difficoltà ambientali.

Ruolo del sostegno sociale e familiare: il supporto accettante di famiglia, amici e contesto sociale è un fattore protettivo fondamentale. Sentirsi riconosciuti e accettati può attenuare il disagio e migliorare la qualità della vita.

Processo esplorativo e counselling: molte persone intraprendono un percorso psicologico di esplorazione dell’identità di genere (autoconsapevolezza, accettazione, decisione su possibili passaggi). Il ruolo del clinico è supportivo, informativo, non direttivo.

Discriminazione, stigma e minoranza sociale: il contesto sociale (omofobia, transfobia, discriminazione) contribuisce significativamente al disagio; la disforia non è solo un fenomeno interno, ma incide in relazione al vissuto sociale e alle barriere.

“Euforia di genere”: alcune persone descrivono momenti di euforia o benessere quando l’identità è confermata nello sguardo altrui, nel corpo, o nell’espressione coerente con il genere interno. Alcuni modelli clinici oggi considerano l’equilibrio verso l’euforia (non solo l’attenuazione della disforia) come un elemento da valorizzare.

Il punto centrale nella valutazione psicologica è che non si tratta di “curare” l’identità, bensì di alleviare il disagio — aiutando la persona a raggiungere una maggiore congruenza identitaria, nell’ambiente migliore possibile, con scelte autonome e supporto clinico.

Evoluzione concettuale: depatologizzare 

Nell’evoluzione delle classificazioni diagnostiche e delle politiche sanitarie, si è assistito a sforzi di depatologizzare la condizione transgender.

Nel DSM‑IV la condizione era classificata come “gender identity disorder” (disturbo dell’identità di genere). Con il passaggio al DSM‑5 si è operato un cambio terminologico, introducendo “gender dysphoria” e focalizzandosi sul “disagio” (e non sull’identità) per ridurre lo stigma.

Nell’ICD‑11 (Classificazione internazionale delle malattie, OMS) la “disforia di genere” è stata spostata fuori dal capitolo dei disturbi mentali e inserita in una sezione dedicata alle condizioni legate alla salute sessuale, con la terminologia “gender incongruence”. Ciò riflette la volontà di riconoscere che l’identità di genere non debba essere considerata intrinsecamente patologica.

Alcuni paesi e sistemi sanitari richiedono ancora la diagnosi di disforia di genere per accedere a cure mediche (ormonali o chirurgiche), ma in molti contesti l’orientamento è verso modelli basati sull’affermazione dell’identità (identity-affirmative) piuttosto che sulla “cura del disturbo”.

Questa evoluzione mira a ridurre lo stigma, garantire accesso alle cure affermative e riconoscere il diritto delle persone transgender a vivere coerentemente con la propria identità.

Varietà di identità non binarie

Il DSM‑5 è strutturato attorno a un modello binario (maschio/femmina). Persone non binarie, genderqueer, agender e altre identità fuori dal binario possono non trovarsi pienamente riconosciute nelle categorie diagnostiche tradizionali. La transizione per queste persone può essere più complessa da progettare ed eseguire in contesti sanitari binari.

La letteratura clinica su alcuni aspetti (es. risultati a lungo termine, qualità di vita, soddisfazione chirurgica, esiti psicosociali) è ancora in evoluzione; occorrono studi longitudinali e inclusivi. C’è ancora tanto lavoro da fare!🌈🌈🌈

 

 

 

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