Infertilità di coppia e salute mentale
La terminologia: facciamo chiarezza
La fertilità è la capacità di una persona o di una coppia di concepire spontaneamente entro 12 mesi di rapporti sessuali regolari e non protetti.
La sterilità è l’incapacità di concepire. Può essere:
Assoluta o irreversibile, quando esiste una condizione permanente che impedisce il concepimento (es. assenza di utero o ovaie, azoospermia permanente, menopausa precoce, ecc.).
Relativa o potenzialmente reversibile, quando la causa è trattabile (es. ostruzioni tubariche, squilibri ormonali, varicocele maschile).
🔹 Quindi, non sempre la sterilità è irreversibile, anche se in molti contesti il termine viene usato con questa accezione.
L’infertilità è l’incapacità di portare a termine una gravidanza fino alla nascita di un bambino vitale. In altre parole, il concepimento può avvenire, ma la gravidanza si interrompe spontaneamente (aborti ricorrenti, morte fetale, ecc.).
Sia sterilità che infertilità si dividono in:
Primaria: quando la coppia non ha mai ottenuto una gravidanza (nel caso della sterilità) o non ha mai portato a termine una gravidanza (nel caso dell’infertilità).
Secondaria: quando la coppia ha già concepito almeno una volta, indipendentemente dall’esito della gravidanza.
L’infertilità di coppia è una condizione che coinvolge circa il 15% delle coppie nei paesi industrializzati, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma oltre alle statistiche mediche, dietro ogni caso di infertilità si cela un mondo complesso di emozioni, dinamiche relazionali, senso di identità e vissuti spesso invisibili.Come psicologa, mi trovo spesso ad accompagnare uomini e donne lungo un percorso emotivo denso, fatto di attese, delusioni, pressioni sociali e domande esistenziali.
Quando si parla di infertilità, si tende a concentrarsi sugli aspetti clinici: ormoni, esami, diagnosi, trattamenti, ma l’infertilità non è solo un limite del corpo: è anche una ferita dell’identità, un evento di vita potenzialmente traumatico, che può destabilizzare profondamente la persona e la coppia.
Essere infertili non significa solo non riuscire ad avere un figlio. Significa mettere in discussione la propria immagine di sé, il progetto di vita, il senso di continuità generazionale. Per molte persone, soprattutto in culture in cui la genitorialità è fortemente idealizzata, l’infertilità può far emergere vissuti di inadeguatezza, vergogna, fallimento personale.
Un lutto spesso non riconosciuto
L’infertilità comporta una serie di “lutti ambigui”: la perdita di un figlio immaginato, la perdita del sogno di una genitorialità naturale, la frustrazione per un progetto che sfugge al controllo. Questo lutto non è sempre riconosciuto socialmente, e spesso manca uno spazio di elaborazione condivisa.
Molti pazienti raccontano di sentirsi isolati, di non trovare comprensione neanche tra amici o familiari. Le frasi consolatorie come “Dai, rilassatevi e arriverà” o “Ci sono cose peggiori” possono diventare invalidanti, rafforzando il senso di solitudine e silenziando il dolore.
Effetti psicologici: ansia, depressione, perdita di autostima
L’infertilità può generare un impatto psicologico paragonabile a quello di una malattia cronica. Gli effetti più comuni includono:
Ansia anticipatoria legata ai cicli mestruali, ai trattamenti e ai loro esiti incerti.
Depressione reattiva, soprattutto dopo tentativi falliti o interruzioni di trattamenti.
Perdita di autostima e senso di colpa, particolarmente marcati in chi percepisce di “non funzionare” come dovrebbe.
Stati di ipercontrollo o evitamento, con eccessiva attenzione ai sintomi corporei o, al contrario, rifiuto del proprio corpo.
La coppia sotto pressione
L’infertilità non colpisce solo il singolo individuo, ma mette alla prova l’intera relazione di coppia. Alcune dinamiche comuni includono:
Differenze nei tempi emotivi: uno dei due può voler continuare i trattamenti, l’altro fermarsi. Questo può generare incomprensioni e conflitti.
Sessualità strumentalizzata: il rapporto sessuale può perdere spontaneità, diventando un atto finalizzato al concepimento.
Ruoli irrigiditi: chi ha una diagnosi medica può sentirsi “colpevole”, mentre l’altro può vivere frustrazione o senso d’impotenza.
Se affrontata con consapevolezza e comunicazione, la sfida dell’infertilità può anche diventare un’occasione per rafforzare la complicità, ridefinire i progetti comuni e costruire nuovi significati.
Viviamo in una società che celebra la genitorialità come tappa obbligata dell’età adulta. Le pressioni sociali sono molteplici:
Domande invasive: “Quando fate un figlio?”
Aspettative familiari: nonni desiderosi, modelli culturali radicati.
Idealizzazione della maternità/paternità come realizzazione suprema.
Tutto questo può rendere l’infertilità ancora più dolorosa, alimentando il senso di esclusione, l’invidia sociale (soprattutto verso amici che diventano genitori con “facilità”) e la paura del giudizio.

Il ruolo della psicoterapia: uno spazio sicuro per dare voce al dolore
In questo scenario complesso, la psicoterapia offre uno spazio fondamentale per:
Elaborare i vissuti dolorosi e legittimare emozioni spesso negate o minimizzate.
Costruire nuove narrazioni di sé, separate dall’identità di “non-genitore”.
Rafforzare la resilienza di coppia, lavorando sulla comunicazione e sull’empatia reciproca.
Sostenere le decisioni: continuare, interrompere i trattamenti, valutare l’adozione, o scegliere di non avere figli.
Il lavoro psicologico può accompagnare anche chi affronta percorsi di procreazione medicalmente assistita (PMA), dove lo stress è amplificato da aspetti medici, etici ed economici. Alcune coppie diventano genitori in modi diversi. Altre scelgono strade alternative, coltivando relazioni significative, impegni educativi, attività generative.
L’obiettivo del percorso psicologico non è “curare” l’infertilità, ma restituire senso, dignità e voce all’esperienza vissuta, permettendo a ciascuno di trovare il proprio modo di stare al mondo, anche quando il percorso prende direzioni inaspettate.
