Affrontare la PMA con consapevolezza: la conoscenza come antidoto alla paura

 

Intraprendere un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) è una scelta carica di emozioni, aspettative, ma anche di paure. Spesso, una grande parte del carico emotivo che accompagna questi trattamenti è legata non tanto alla complessità clinica in sé, quanto al timore dell’ignoto.

La mancanza di informazioni chiare o la difficoltà a porre domande agli operatori sanitari può amplificare l’ansia, lasciando spazio a dubbi, interpretazioni errate e, talvolta, a sensazioni di smarrimento.

Ecco perché il supporto psicologico rappresenta un alleato prezioso e complementare alla parte medica. Non solo aiuta a gestire l’impatto emotivo della diagnosi e delle attese, ma diventa anche un luogo sicuro in cui le pazienti e le coppie possono imparare come porre domande,

come interagire con l’équipe sanitaria e

come riappropriarsi del controllo della propria esperienza, anche quando il corpo è affidato a procedure tecniche complesse.

 

Ad esempio, una delle domande più frequenti che emergono in terapia è: “Perché mi legano le gambe durante il prelievo ovocitario, non l’ho mai chiesto?!”. La sensazione di essere “immobilizzata” (gambe legate o fissate) può generare disagio o impressione di perdita di controllo. Questa pratica, spesso vissuta con paura o incomprensione, non ha nulla a che vedere con un atto di violenza: si tratta di una misura di sicurezza standard adottata durante la sedazione o l’anestesia, in quanto il rilassamento muscolare può comportare movimenti involontari. Mantenere le gambe ferme serve esclusivamente a garantire la sicurezza della paziente durante il prelievo, che avviene attraverso una sonda ecografica vaginale guidata, con l’introduzione di un ago sottile e sterile.

 

Un altro timore comune riguarda l’ago utilizzato per il prelievo degli ovociti, percepito come “lungo” e quindi potenzialmente doloroso. È importante chiarire che solo una piccola parte dell’ago viene effettivamente introdotta nel corpo, e sempre sotto controllo ecografico e in anestesia. Il dolore non viene avvertito e, nel post-operatorio, eventuali fastidi sono generalmente lievi e gestibili con terapia analgesica.

 

 

Un aspetto spesso sottovalutato, ma cruciale per il buon esito del percorso, è la partecipazione attiva della coppia. Presentarsi in due agli appuntamenti non è solo una questione simbolica o affettiva, ma ha un valore concreto: facilita la comprensione delle informazioni mediche, alleggerisce il carico emotivo e rinforza l’alleanza di coppia. Spesso accade che il partner – solitamente il compagno o marito – assuma un ruolo di “infermiere della coppia”: gestisce la somministrazione dei farmaci, controlla gli orari delle terapie, sostiene fisicamente ed emotivamente la partner. Questo ruolo, se ben integrato e condiviso, può diventare un’occasione di crescita e coesione, trasformando una sfida clinica in un’esperienza di profonda connessione.

 

 

 

Infine, è essenziale ricordare che ogni percorso di PMA è altamente personalizzato. Non esistono protocolli “standard” validi per tutti: le decisioni cliniche vengono prese sulla base della storia medica, ormonale e psicologica di ciascuna coppia. Per questo, fare domande, chiedere chiarimenti, esprimere dubbi non è mai fuori luogo: è un diritto, oltre che una risorsa fondamentale per vivere il trattamento con maggiore serenità.

 

In conclusione, numerosi studi indicano che quando la coppia affronta il percorso di PMA con un adeguato supporto psicologico integrato all’équipe medica, migliora non solo il benessere emotivo e relazionale, ma anche la capacità di aderire in modo più consapevole e stabile al trattamento.

Lo psicologo entra in gioco fin dalla fase decisionale — aiutando a comprendere le procedure, a esplorare motivazioni e aspettative — e rimane accanto nel momento della terapia, dell’attesa dell’esito, e anche in caso di esito negativo.

È proprio questa collaborazione tra la parte tecnica (stimolazione ormonale, prelievo, transfer) e la parte emotiva (gestione dell’ansia, comunicazione di coppia, elaborazione di lutto) che consente alla coppia non solo di ‘subire’ il percorso, ma di viverlo in modo più proattivo, informato e resiliente.

Conoscere le procedure, comprendere le motivazioni mediche dietro ogni fase, e sentirsi autorizzati a chiedere, sono i primi passi per affrontare la PMA non solo con speranza, ma con consapevolezza. E la consapevolezza – in medicina come nella vita – è spesso il miglior antidoto alla paura.

 

 

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